Descrizione
I lavori di costruzione della nuova Chiesa Madre “Santa Maria Assunta”, ebbero inizio pochi mesi dopo il crollo della chiesa preesistente, avvenuto il 3 marzo 1689. I diversi interventi di restauro a cui il vecchio tempio, probabilmente risalente al 1400, era stato in precedenza sottoposto, non si erano rivelati sufficienti per salvaguardarlo dal crollo.
Ecco cosa scrive a tal proposito Giovanni De Nisi (1899-1993) in Salice Terrae Hidrunti (Esse Gi Esse, 1968): “(…) Tante attenzioni e tanti sacrifici, non valsero a salvarla dal completo crollo nel 1689. Sta di fatto, però, che, a distanza di soli otto mesi, il 12 novembre 1689, veniva posta la prima pietra dall’arciprete D. Gio: Bernardino Bortone, con licenza dell’arcivescovo di Brindisi, alla presenza della popolazione e dei capi dell’Università, dando così il via alla ricostruzione del nuovo tempio. I sacrifici, sopportati dai salicesi per superare le difficoltà finanziarie, furono notevoli, e fu necessario ricorrere a gravose imposte (…) consistenti nella riscossione della 6 a decima, e della 20 a su tutti i frutti che si sarebbero prodotti sul feudo e per tanti anni quanti ne occorressero per portare a termine i lavori. Grande fu il contributo dei salicesi; esso fu spontaneo e commovente assieme; né furono pochi, assicurano i cronisti, coloro che con fede e devozione, trasportarono gratuitamente dalle cave di Arneo molta di quella pietra che servì alla fabbrica”.
La costruzione della nuova Chiesa, dunque, coinvolse l’intera comunità salicese e, primo fra tutti, il promotore della nuova fabbrica: don Bernardino Bortone. Il corpo principale fu completato nel 1713, mentre il campanile con cupola maiolicata fu ultimato verso il 1730. La chiesa fu progettata con forme tipiche del barocco leccese, evidenti nella facciata tripartita con tre ampi finestroni, in corrispondenza della navata centrale e delle due laterali, alternati con quattro nicchie, ognuna ospitante un santo (San Francesco d'Assisi, Sant'Agostino, San Tommaso d'Aquino e San Domenico). La Vergine venne collocata sul portale principale. Già dedicata alla Vergine Assunta, la nuova Chiesa parrocchiale conservò il medesimo titolo “avendo come protettore principale S. Francesco di Assisi e protettori meno principali li gloriosi Sant’Agostino e S. Tommaso d’Aquino, le cui sculture in pietra figurano nelle apposite nicchie della grande facciata” (G. De Nisi).
Alcune fonti, peraltro, sostengono che il progetto di ricostruzione della Chiesa Madre possa essere attribuito all’architetto leccese Giuseppe Zimbalo. Ciò per il fatto che la chiesa di Salice sembri avere la medesima impostazione planimetrica del Duomo di Lecce (opera completata nel 1670 su progetto, appunto, di Giuseppe Zimbalo). La Chiesa Madre, come altri importanti monumenti locali, subì non pochi danni a seguito del terribile terremoto del 20 febbraio 1743 che interessò molti centri salentini. Daniele Perrone, nell’articolo dal titolo 20 febbraio 1743: Salice e il terremoto dimenticato, pubblicato sulla testata online “Spazio Aperto Salento” il 22 febbraio 2021, a proposito dei gravi danni provocati da questo sisma “durato per ben 7 minuti e con la sequenza di 3 violente scosse”, fra l’altro scrive: “(…) I segni sulla Chiesa Madre sono tuttora visibili. Sulle sue pareti laterali, a ridosso della facciata, ci sono ancora (…) evidenti tracce di interventi del tipo scuci e cuci. Probabilmente l’azione sismica avrà provocato un completo distacco della facciata, rendendola di fatto altamente vulnerabile nei confronti di un ribaltamento. Un pericolo che è stato fortunatamente scongiurato dall’assenza di scosse di assestamento nei giorni successivi. Questo terremoto (…) porterà comunque alla cittadinanza ulteriori aggravi fiscali che si prolungheranno negli anni a venire. Le opere religiose necessiteranno di urgenti riparazioni (…)”.
Nei decenni successivi non mancarono altri interventi. Come riportato in un’epigrafe all’interno del Tempio, all’inizio del XX sec. l’allora arciprete don Giuseppe Gravili fece eseguire dei lavori di restauro. Dopo un periodo di chiusura, la Chiesa ritornò nella disponibilità della Parrocchia e della comunità il 29 giugno 1911. Sino al 1956 lungo la navata centrale, fra i due bracci laterali (con volta a vela), fu presente un tetto ligneo con controsoffitto, sempre in legno,
decorato da pitture realizzate fra gli anni 1753-1754 dagli artisti Vito Antonio Colucci, di Martina Franca, e Servodidio Ingrosso, di Campi Salentina. Questo soffitto in legno, esattamente alle ore 23.30 del 22 aprile 1956, “logorato dal tempo e dalle infiltrazioni d’acqua, e intemperie, crollò e di quelle pitture non si salvò nulla” (G. De Nisi).
Nella cronaca parrocchiale di quel giorno, curata da don Mario Melendugno (1920-2001), fra l’altro si legge: “Il Signore ha permesso il crollo del solaio della Chiesa Matrice parrocchiale. Sia oltremodo ringraziato, perché ha risparmiato tante vite umane”. A seguito di quest’evento, in attesa dei lavori per restituire la Chiesa Madre alla comunità, la Parrocchia si trasferì temporaneamente nella Chiesa dell’Immacolata. L’intervento di ricostruzione del nuovo solaio, “tipo Sapal H35 con armatura”, assieme a tutti gli altri lavori necessari, fu realizzato in poco tempo.
Il 2 dicembre del 1956, infatti, a distanza di sette mesi e 10 giorni dal crollo del solaio, la Chiesa Madre fu riaperta al culto. Don Mario, nelle cronache parrocchiali annota: “Dalle porte del paese parato a festa, accolto trionfalmente da tutti i rami dell’Azione Cattolica, dalle Confraternite, dalle autorità e da tutto il clero secolare e regolare, S.E. Margiotta, nostro amatissimo Arcivescovo, incedeva solennemente per la chiesa parrocchiale. (…) Entrato nel Tempio reso davvero degno del Signore Supremo, S.E. l’Arcivescovo apriva solennemente la Santa Visita, impartiva la benedizione papale e celebrava la Santa Messa (…); al Vangelo si congratulava vivamente con tutto il popolo che, contribuendo così generosamente alla ricostruzione immediata della sua Chiesa parrocchiale, dimostrava di possedere una profonda pietà ed una fede non comune”.
La chiesa, con dieci altari (oltre quello maggiore), è a croce latina. Si divide in tre navate; di queste, la navata centrale culmina nel grande arco posto a incorniciare l’area del coro e dell’altare maggiore. Il maestoso campanile, fra i più alti dell’area (oltre trenta metri di altezza), ha una cella campanaria con quattro campane, l'ultima delle quali installata nel 1978. Lo stile barocco dell’esterno, ritorna all’interno della chiesa, particolarmente evidente sugli altari, quattro dei quali a colonne tortili, decorate con motivi fitomorfi o zoomorfi. Quasi tutti sono completi di preziose tele. Fra queste, da menzionare La Pietà di Serafino Elmo (1696-1777), dipinta nel 1750, ubicata nell’Altare “La Pietà”, e la Deposizione di Gaetano Bianchi (1655-1731), dipinta nel 1683, posta sulla parete absidale. Non meno preziosi sono l’antichissimo Crocefisso ligneo, al centro dell’Altare Maggiore, e la statua in cartapesta di San Francesco, opera di artigiani leccesi, già collocata, fino al 1753, nella piccola cappella di Sant’Egidio, da tempo scomparsa. Da segnalare anche le quattordici stazioni della “Via Crucis”, realizzate nel 1930 dal pittore salicese Gennaro Fantastico (1881-1958).
Tra gli arredi, rilevanti sono la fonte battesimale dalla forma piramidale - esagonale e i due candelabri della metà del XVIII secolo, opera di Francesco Alcaino. La Chiesa Madre custodisce tra l’altro un antico pulpito ligneo del ‘700 e due reliquiari (di Santa Colomba e di San Simplicio).
(Scheda a cura di Andrea Faggiano)